BANDIERE DEL CODICE INTERNAZIONALE DI NAVIGAZIONE


 

 

LA BANDIERA DELLA MARINA ITALIANA

Il Regno di Napoli (poi Regno delle due Sicilie) ed il Regno di Sardegna sul finire del 1700 costituirono i due poli sui quali maggiormente poggiarono i movimenti unitari italiani.

I due Regni erano inoltre i due soli Stati della Penisola in possesso di mentalità e possibilità tali da realizzare una “Marina”, quale espressione di sovranità e politica navale. Altre Marine di limitata entità coesistevano al tempo: la “Granducale di Toscana” – la “Pontificia” – saltuariamente la “Siciliana”, organizzata per compiti di difesa delle rispettive coste dalle scorrerie dei pirati barbareschi. La Bandiera del Regno delle Due Sicilie aveva colore bianco con al centro il policromo e complesso Stemma della Casa di Borbone. Sventolò sulle Unità Borboniche dal 1734 al 1860, allorquando a settembre la quasi totalità di esse alzò di iniziativa il Tricolore del nuovo Stato Italiano che si andava formando.

La Bandiera del Regno di Sardegna era, ai suoi inizi, di colore azzurro con nel cantone superiore, in prossimità dell’asta, la bianca croce di Savoia in campo rosso. Dopo la annessione al Regno della Liguria (anno 1815 ), anche in segno di rispetto verso Genova, la croce bianca venne sostituita con altra che combinava: la originaria croce dei Savoia,con la croce rossa di Sardegna e la croce di San Giorgio di Genova. Il 25 Marzo 1848 il Re di Sardegna, Carlo Alberto, dichiarò la Prima Guerra di Indipendenza e adottò per l’Esercito in battaglia il Tricolore Italiano, con al centro lo Scudo Sabaudo. Il 15 aprile successivo il medesimo Tricolore divenne la Bandiera del Regno e fu alzata anche dalle unità della Marina Sarda. Alla formazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, il Tricolore con lo scudo dei Savoia passò senza modifiche alla Regia Marina istituita in pari data. Restò al picco delle Unità ( Marina del Regno di Sardegna e Regia Marina) ininterrottamente per 98 anni, sino alla proclamazione della Repubblica Italiana a giugno 1946.Non sono reperibili disposizioni esecutive, impartite dal Ministero della Marina, per l’adozione della nuova Bandiera: Tricolore senza Scudo; pertanto non è certa la data in cui venne alzata sulle Unità navali. Si presume che ciò sia avvenuto tra il 25 ed il 30 Giugno 1946. In esito a vive pressioni della Marina, il 09 novembre 1947 viene emanato il Decreto del Capo provvisorio dello Stato “ DE NICOLA” che istituiva “La Bandiera Navale per la Marina Militare e la Marina Mercantile”: il Tricolore, con gli Stemmi delle Repubbliche Marinare, Venezia – Genova – Pisa – Amalfi, sormontati per la Marina Militare da una corona turrita e rostrata, per la Marina Mercantile senza corona e con il leone di San Marco con il libro anziché la spada. Il cambio della Bandiera avvenne il 30 novembre 1947, giorno successivo alla pubblicazione del Decreto sulla Gazzetta Ufficiale, a seguito di ordini scritti ed emanati ad ogni livello di Comando. Restavano così fissati sul Tricolore i segni delle più antiche tradizioni dei Marinai d’Italia nel Mediterraneo.

 

 

 

 

 

 



CARTOLINA ..CON DIVERSA PREGHIERA DEL MARINAIO!

Cartolina del 29 novembre 1941

 

Preghiera del Marinaio .

 

La particolarità e' alla decima riga!!!

 

 


LA STORIA DI SANTA BARBARA.

SANTA BARBARA

Il 4 Dicembre la Marina Militare,l’arma di Artiglieria, l’Arma del Genio, i Vigili del Fuoco e i Minatori festeggiano la loro Patrona “S.Barbara”. Secondo il racconto agiografico Barbara era una fanciulla nata nell’antica Turchia,non lontano da Istanbul. Avendo in seguito abbracciato la religione cristiana, fu scoperta ed uccisa dal suo stesso padre che le tagliò la testa di propria mano. Era il 4 Dicembre 290 dopo Cristo, durante le persecuzioni di Massimiano. Immediatamente dopo il colpo di spada omicida, un fulmine, così vuole la tradizione, si abbattè sul padre carnefice che cadde incenerito vicino al corpo della sua vittima. Mille anni dopo, nel 1300, si scopre la polvere da sparo; l’impiego che se ne fa come mezzo propellente e dirompente, consente all’uomo di sparare folgori, di produrre lampi e tuoni e di costruire armi che fanno fuoco. L’analogia alla leggenda del fulmine che folgorò il padre carnefice della propria figlia, concorse a fare indirizzare alla protezione di Santa Barbara tutti “ i signori Bombardieri “ del tempo, come ad esempio gli artificieri, i difensori di torri e fortezze, ecc….Ecco allora che i depositi delle polveri, i magazzini delle munizioni nelle fortezzze e sulle navi furono denominati, per sinonimia ma soprattutto per devozione, “Santabarbara“perché contrassegnati con una immagine della Santa stessa appesa sulle pareti o sulle porte in segno di protezione affinchè potessero essere preservati dal fuoco e dai fulmini. Con quella “Santabarbara“a bordo, gli equipaggi si sentirono proprio nelle mani della santa protettrice. Basta un niente per far saltare tutto in aria! La prima notizia ufficiale dell’adozione di Santa Barbara come Patrona di tutti coloro che hanno a che fare con le “ cose che ardono o che scoppiano “, appare in un’ordinanza delle Milizie cittadine di Firenze l’11 novembre 1529. Nacque e crebbe così una tradizione, quella di noi “uomini di mare e di guerra”. La tradizione che tutti gli anni viene ripercorsa in tutte le Caserme, negli Stabilimenti di lavoro, negli Arsenali, a bordo di tutte le navi da guerra. In particolare il 4 Dicembre del 1992 la tradizionale cerimonia svoltasi nella Basilica romana di San Paolo, assume valore particolare essendo stata celebrata dal Cardinale Ruini, Vicario di Roma, alla presenza delle Sacre Reliquie della stessa Santa che, successivamente, hanno trovato la definitiva sistemazione nel restaurato tempietto dell’Oratorio di Burano, a Venezia, secondo gli auspici della Marina, volti ad assicurare alla propria Santa Patrona un consono luogo di custodia e di venerazione. La data della cerimonia spesso viene spostata e fatta coincidere con i giorni festivi o semi festivi, indipendentemente dal giorno, tutti gli anni, da decenni, con ostinazione militare e con caparbietà tutta marinara la Santa Patrona viene festeggiata con tutti gli onori. Ma perché? Perché la fede nella propria Patrona, per noi marinai, così come pure per gli Artiglieri, Genieri e Vigili del Fuoco, trova la sua più luminosa espressione nel conservare la freschezza di questa tradizione, consegnataci oltre il tempo ed attraverso il tempo di secoli di culto, di devozione e di ispirazioni a rettamente vivere ed a consapevolmente soffrire. Per noi, allora, rievocare la figura ed il martirio di Santa Barbara equivale a rendere omaggio doveroso e riconoscente al sacrificio di tutti coloro che donarono la loro esistenza per il supremo ideale della Patria, nella certezza che la loro vita è nello stesso alone di luce che circonda la Vergine Martire, nella beatitudine celeste.

 

LA STORIA

 

S.BARBARA Nacque a Nicomedia in Bitinia, battezzata cristiana da Valeriano discepolo di origine, fu, per questo, decapitata il 4 Dicembre 290 dopo Cristo dal padre Dioscuro, che a sua volta fu incenerito da un fulmine. Il suo corpo fu trafugato e sepolto da Valentiniano a Heliopolis in Paflagonia e li rimase venerato per quasi tre secoli. Giustino, Imperatore d’Oriente (565/78), fece deporre il corpo della Santa in una Cappella della Chiesa dedicata al Salvatore del Mondo nei pressi dell’ippodromo di Costantinopoli. A Costantinopoli rimase fino agli inizi dell’XI secolo, fino a quando i Veneziani al comando di Pietro II Orseolo, Doge di Venezia e Duca della Dalmazia, nel 1002, con una potente flotta uscirono vittoriosi e liberarono la Puglia dai Saraceni. Successivamente Pietro II inviò a Costantinopoli suo figlio, il condoge Giovanni, a prendere le insegne di Hipatos (altissimo) e a rinnovare il Crisobulo (bolla d’oro dei privilegi) offerti dagli Imperatori. Lì Giovanni si fidanzò e si sposò con Maria Argiropolus, nipote degli Imperatori e, tornando a Venezia, portò tra i doni di nozze (e non come dice qualche maldicente storico) il veneratissimo corpo di S.Barbara. a causa della peste scoppiata nel 1066; gli sposi ed il loro figlioletto Basilio Primo morirono e furono sepolti nel Monastero di S.Zaccaria, a Venezia, dove era Badessa Maria Orseolo sorella di Giovanni. Maria volle seppellire accanto al corpo dei suoi cari anche il corpo di S.Barbara che così ebbe una definitiva sistemazione a Venezia. L’altra sorella Felicita, Badessa del Convento di S.Giovanni Evangelista di Torcello, appoggiata dal fratello Orso, Vescovo dell’Isola, pianse a tal punto che il padre Doge, per farla felice, acconsentì che il Sacro Corpo fosse portato in processione a Torcello e li tumulato. È bene ricordare, però che la laguna era divisa nelle Diocesi di Malomocco, Venezia, Torcello, Caorle e Grado (Patriarcato) per non contare Concordia, per cui vi fu un primo attrito fra le Diocesi di Venezia e Torcello, suffragato dal fatto che i resti mortali della Santa erano prerogativa familiare degli Orseolo.Il contrasto si manifestò nel 1579, quando una reliquia fu consegnata all’Imperatrice d’Austria e si accentuò maggiormente nel 1630 quando i Crociferi veneziani, in possesso dal 1256 del Corpo di un’altra S.Barbara, prelevato anch’esso da Costantinopoli, ne rivendicarono l’originale, per cui l’arbitrato fu rimesso nelle mani del nunzio apostolico. Nel frattempo anche Jacopo da Varagine(Varazze), poi Vescovo di Genova (1292) passò alcuni anni della sua gioventù (1255-1266) a rivedere la vita dei Santi scrivendo la “legenda aurea” dove magnificòcle virtù di Barbara. Barbara quindi fu inclusa nei quattordici Santi Ausiliatori e posta contro il fulmine e la morte improvvisa. Arriamo rapidamente al 1806 quando Napoleone I soppresse gli ordini religiosi e nel 1810 ne incorporò i beni nel demanio con una legge tuttora vigente. Da Torcello (dove le abbiamo lasciate) le Spoglie e l’altare che le conteneva furono trasferiti nella Chiesa di S.Martino di Burano fino a che il parroco Mons. Dario Costantini fece restaurare l’antico Oratorio attiguo alla chiesa. Il 4 Dicembre 1926 il corpo di S.Barbara fu posto definitivamente nell’Oratorio trasportandolo per l’ennesima volta con l’antichissimo altare intarsiato con marmi orientali e pietre dure e portante la scritta “Corpus Sanctae Barbarae Martiris Nicomedia”. Pio XII il 4 Dicembre 1951 proclamò “S.Barbara di Nicomedia V.M. protettrice particolare, presso Dio, dei Soldati d’Italia, sia Artiglieri, sia Marinai, sia Fuochisti, sia Pompieri”. Era un atto dovuto in quanto già nella Marina veneta si onorava la Santa come Patrona e “Santabarbara” venivano denominati i depositi di tutte le navi da guerra del mondo. Patrona quindi delle armi da fuoco per scongiurare le morti improvvise. Nel 1957 l’Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori, dopo una solenne cerimonia, fece murare una lapide per ricordare l’evento. Ma le peripezie delle spoglie della Santa non finiscono qui, nel 1973 ci fu un altro restauro all’Oratorio di S.Barbara di Burano e le spoglie furono custodite provvisoriamente nella Chiesa di S.Martino. Purtroppo però il Comune di Venezia destinò l’immobile a sede del Consiglio de Quartiere. A tale delibera si opposero gli Artiglieri di Cessalto e gli ex combattenti di Venezia. Il contenzioso durò altri 20 anni fino al 5 Dicembre 1992. Infatti il giorno precedente, il 4 Dicembre 1992, la Santa era stata solennemente onorata a Roma, nella Basilica di S.Paolo Fuori le Mura, da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Ruini,Vicario di Roma, e da Sua Eminenza Giovanni Marra, Ordinario Militare d’Italia, alla presenza dell’Ammiraglio di Squadra Guido Venturoni, Capo di Stato Maggiore della nostra Marina. Trasportata a Venezia nella Chiesa della Marina di S.Biagio, con un altrettanto solenne cerimonia, condotta in due tempi prima dall’Ordinario Militare e successivamente da Sua Eminenza il Cardinale Marco Ce, Patriarca di Venezia, alla presenza dei rappresentanti di tutte le Armi e attorniata da una moltitudine di rappresentanti delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, la Santa è finalmente ritornata nella millenaria sede di Burano.


I TABU' DELLA GENTE DI MARE!

per gentile concessione del Sig. Giovanni Caputo, autore dell'articolo pubblicato sulla rivista Nautica n.485 del settembre 2002

I TABU' DELLA GENTE DI MARE

Vi sono delle tradizioni di spirito marinaresco che arrivano fino ai nostri giorni e che si perdono nella "notte dei tempi". Esse nascono così lontano nel tempo fino a far dimenticare i motivi per cui una tradizione nasce e si perpetua, così come i gesti carichi di ritualità si ripetono, uguali nei secoli, per arrivare fino a noi con un ricordo molto sfocato degli originari significati. È il caso, ad esempio, della fiamma (1), quella bandiera lunghissima e sottile che ancora oggi molte Marine hanno l'uso di mettere a riva. La tradizione vuole che nel 1652 l'ammiraglio olandese Tromp, dopo aver sconfitto Blake in battaglia, nel risalire il canale della Manica, issasse sull'albero maestro, al posto delle abituali insegne, una scopa, per simboleggiare la supremazia della propria flotta su quei mari e che quindi era padrone di "spazzare" il mare. Di contro, gli Inglesi, appena riuscirono a sconfiggerli, inalberarono una lunga frusta per schernire i vinti, frusta che si è trasformata assumendo appunto l'aspetto della fiamma, peraltro molto suggestiva.
La scopa, poi, trasformatasi col tempo in "redazza" (2), divenne un elemento simbolico usato per ingaggiare sfide tra gli equipaggi di quei velieri che, con puro spirito sportivo, si cimentavano in accanite regate con le lance di bordo. La procedura era la seguente: veniva inviata una lancia con una scopa capovolta inferita a poppa, che compiva un giro attorno alla nave da sfidare, poi tutti ai remi!

Una tradizione, questa, tra le tante esistenti, difficili da ripristinare, ma non certamente impossibile da reintrodurre!

Accade molto spesso, quindi, di trovarsi di fronte a usi e abitudini marinaresche che non trovano un riscontro preciso sulle origini, forse perché si tratta di un settore, quello dell'analisi del rapporto tra l'uomo-marinaio e la sua barca, sul quale esistono, sì, studi e ricerche, ma non di tipo universitario, in quanto si tratta di interpretazioni e di impressioni personali, frutto di attente analisi comportamentali da parte di ricercatori, studiosi e appassionati delle antiche tradizioni marinare. Da notare, poi, che molti riti ancestrali, propri di diverse culture marinare primitive che seguono un rigido rituale di profonda sacralità, si possono rilevare, seppur in forma "evoluta" e pertanto più stemperata, anche presso le civiltà più progredite.

L'Arte marinara, come tutte le tradizioni e gli usi legati al mare, si tramanda quasi sempre oralmente, come un sussurrante passaparola.

Nei piccoli cantieri artigianali possiamo ancora incontrare il maestro d'ascia che imposta la chiglia dell'imbarcazione a "occhio", senza disegni, seguendo un piano di costruzione assolutamente mnemonico, che si tramanda da generazioni; essi sono gelosi depositari di quei segreti e ritualità che talvolta sfociano nella scaramanzia. I maestri d'ascia sono abilissimi nell'uso degli attrezzi ma poco avvezzi alla progettazione, cosicché non troveremo quasi nulla di scritto da costoro sulle tradizioni e sulle tecniche di costruzione adottate.

In Sicilia, ad esempio, in alcuni cantieri, c'è ancora l'usanza di inserire una medaglietta dorata nella struttura della barca, collocandola in un vano su misura ricavato nell'incastro tra chiglia e dritto di prora, usanza che ha origini antichissime, confermata da ritrovamenti archeologici di navi romane che avevano una moneta votiva d'oro collocata nello stesso punto (in alcuni casi sono stati scoperti relitti con una o più monete votive inserite nella scassa dell'albero); analogie, queste, incredibilmente collimanti, nonostante si tratti anche di culture distanti migliaia di miglia tra loro; e qui val bene la pena di ricordare che sul mare non vi sono confini e, come abbiamo visto, nemmeno confini temporali.

A qualsiasi latitudine, qualunque sia il credo religioso, la barca è intesa più come compagna che come un semplice strumento dell'uomo-marinaio; da sempre la considera provvista d'anima e di propria personalità, quasi come se possedesse una propria vita, che interagisce con quella dell'uomo-marinaio. Gli occhi dipinti sulle prore degli scafi dei pescatori sono un retaggio di antichissime consuetudini; in prossimità della prora si dipinge ancora oggi l'"Oculus", l'occhio sacro che dovrà indicare la rotta priva di insidie. Lo troviamo sulla prua delle barche più vecchie dei pescatori italiani e, comunque, su quelle di mezzo mondo, a volte anche scolpito, come si usa ancora per i "luzzu" maltesi.

Questa consuetudine possiede radici molto antiche, risalenti alle prime navi egizie, per poi sfociare nel bacino del Mediterraneo, arrivando alle culture greche e romane. Ogni cultura possiede la propria spiegazione a questa usanza, che converge su una comune ragione: la barca è un abitante del mondo acqueo, quindi un essere vivente e gli occhi le servono per scegliere la giusta rotta.

Questo concetto, che dura nei secoli, è arrivato quasi immutato fino ai nostri giorni, persistendo e resistendo alle mode e all'evolversi dei tempi.

Proprio con le stesse principali manifestazioni che contraddistinguono l'inizio di una vita, cioè il concepimento e il parto, l'uomo- marinaio considera l'operazione di sagomatura della chiglia come il momento preciso del concepimento della barca, mentre il varo, cerimonia solenne e ricca di simbolismo, rappresenta il momento del parto, cioè la nascita vera e propria dell'imbarcazione, che è automaticamente battezzata nelle acque con la discesa a mare.

Spesso la barca è battezzata con l'aspersione d'acqua di mare, con tanto di madrina e talvolta padrino, anche se oggi l'atto del varo, pur mantenendo quasi inalterate nel tempo le procedure, ha perso quella solenne valenza propiziatoria che una volta possedeva. Oggi sono molte le imbarcazioni, specialmente le medio-piccole di serie, che vengono vendute "a secco" e messe a mare direttamente dai proprietari, i quali non sempre sentono questa "necessità", propria "dell'uomo di mare".

Restando sul discorso del battesimo del mare, è interessante risalire all'origine di questa usanza che, a dire il vero, era molto truculenta; non vi siete mai domandati perché il marinaio- pescatore sceglie sempre il colore rosso scuro per l'antivegetativa del suo scafo? Analizzando con attenzione, troviamo che la stessa scelta, inconsciamente, viene fatta da tutti coloro che hanno un rapporto "intimo" con il mare, che vivono a stretto contatto con esso e, per tale motivo, sono molto attaccati alle tradizioni a esso legate.

Il colore rosso, con cui spesso si usa dipingere l'opera viva delle imbarcazioni, è una reminiscenza di quando di aspergeva la chiglia con il sangue di un animale, sacrificato per ingraziarsi le divinità; si passò poi ad aspergere la nave con vino rosso, che ricordava il colore del sangue sacrificale. L'uso odierno di infrangere sulla prora una bottiglia di spumante è riconducibile al solo fatto che è una visione più spettacolare al momento dell'impatto, poiché la schiuma è ben visibile anche da lontano.

Anche le polene, ormai divenute rare a vedersi, come del resto sono purtroppo rari quei bei legni che le tengono in bella mostra sotto il tagliamare, sono il retaggio di antichissimi riti propiziatori; le prime vere e proprie polene sono apparse, secondo gli studiosi, verso il XV secolo, dirette discendenti delle sculture lignee che erano poste alle prore dei "Drakkar" vichinghi, anche se, andando più indietro nel tempo, troviamo il vello del capro espiatorio issato sulla prora delle navi greche, dopo che il sangue (a volte anche umano!) veniva asperso sulla prora, per placare l'umore del dio in collera (da qui le "rosse guance delle navi" d'omerica memoria). Dopo il sacrificio votivo, infatti, era consuetudine affiggere le vittime sulla prora o a riva sull'albero maestro, ritualità che sopravvive ancora oggi, in quanto è possibile vedere sulle barche dei pescatori dei nostri mari le corna delle capre o il vello di pecore; oggi sono esternazioni scaramantiche, un tempo erano ritualità di determinate culture arcaiche. Oggi l'uso di collocare la polena, se pur in forma molto ridimensionata, è conservato da alcune Marine militari, come la nostra, ad esempio, che orna la prua delle proprie unità con una stella a cinque punte, simbolo dell'Italia.

Altra tradizione che affonda le proprie radici nella notte dei tempi, è racchiusa nelle motivazioni che spingono a vietare le scarpe a bordo delle barche. Si badi bene, solo le scarpe "della festa", perché gli stivali e le calzature da lavoro sono ammessi! La motivazione è da ricercare negli anfratti reconditi della superstizione dell'uomo di mare, in perenne contatto e conflitto con l'elemento mare, l'amico-nemico dell'uomo-marinaio.

Molti yacht espongono il segnale di divieto di transito con una scarpa disegnata al centro, per indicare, ai più distratti, l'esistenza di una regola del galateo marinaresco che invita a salire a bordo scalzi. I più adducono tale usanza al fatto che le scarpe rovinano il ponte o che la polvere trasportata possa compromettere l'igiene di bordo. ma non è proprio così. I ponti delle barche, generalmente, sono costituiti da tavole di teak, l'essenza lignea fra le più dure e resistenti che esistano, che certamente non teme un banale calpestio di suole o tacchi; e poi, del resto, agli stessi ospiti che calpestano il parquet di casa, perché non chiediamo di togliere le scarpe? Basterebbe chiedersi se i musulmani, quando entrano nelle moschee, si tolgono le scarpe per motivi d'ordine religioso o per timore di rovinare la pavimentazione...

I tabù sono manifestazioni e comandamenti religiosi, che hanno sempre motivazioni sacrali, cariche di simbolismi. La parola Tabù è d'origine polinesiana e indica proibizione o interdizione, sia per azioni o frasi che potrebbero essere foriere di sventure.

"Allora - mi direte - perché ci si toglie le scarpe quando si sale a bordo?" Ebbene, come dicevo poc'anzi, non tutti i tipi di scarpe sono vietati a bordo, solo le "scarpe della festa", cioè quelle nuove, sono tabù, mentre quelle da lavoro sono accettate senza alcun problema.

La motivazione fondamentale è da ricercare nell'immaginario mitico che l'uomo possiede della morte, considerata una sorta di traghettamento verso l'aldilà (e qui entra in gioco una barca, quella di Caronte!), che possiede delle analogie con la realtà, riscontrabili nel fatto che il defunto viene vestito a festa, comprese appunto le scarpe, pronto a intraprendere l'ultimo viaggio, il traghettamento, appunto, verso l'aldilà. Basta poco, quindi, per collegare le scarpe della festa alla ritualità funebre, in un contesto come il mare, dove scaramanzia, incertezza e pericolo incombente (immaginiamo le navigazioni di qualche secolo or sono!) sono realtà sempre presenti e che i marinai di tutti i tempi possiedono, comunque e inconsapevolmente, come una matrice comune.

Per i meno attenti, queste sono tutte tradizioni che si perpetuano, come abbiamo visto, più per abitudine che per conoscenza, colpa anche di quel pizzico di superficialità che contraddistingue il frenetico vivere di oggi. Comunque, penso proprio che dopo questa lettura, saranno in molti che analizzeranno con attenzione il "grado di usura" delle scarpe dei propri ospiti a bordo.



FESTA DELLA MARINA 2009 - CONSEGNA BANDIERA A NAVE CAVOUR......BELLISSIMA CERIMONIA...DA VEDERE!


INTERPRETAZIONE DELSOCIO ENRICO LEONARDI DELLA PREGHIERA DEL MARINAIO 12 DICEMBRE 2021 - IL VIDEO E' DEL SOCIO ANTONIO PALAZZO .


NAVE CAVOUR

Nave Cavour (CVH-550) è una portaerei STOVL italiana entrata in servizio per la Marina Militare Italiana nel 2009, costruita da Fincantieri cui era stata commissionata il 22 novembre 2000. Lo scafo è stato impostato il 17 luglio 2001 nel cantiere navale di Riva Trigoso presso Genova dove un primo troncone è stato varato il 20 luglio 2004 e trasferito al Cantiere navale del Muggiano della Spezia per l'aggiunta del secondo troncone e per i lavori di completamento della strumentazione. Il 22 dicembre 2006 ha effettuato la prima prova di navigazione ed il 27 marzo 2008 è stata consegnata alla Marina Militare per i collaudi finali, al termine dei quali il 10 giugno 2009 è entrata in servizio[1] dopo aver ricevuto la bandiera di combattimento alla presenza del Capo dello Stato. La nave è stata costruita per combinare varie funzionalità fra cui, oltre alla predominante azione aerea tramite modelli V/STOL ed elicotteri, anche scenari di operazioni anfibie, comando complesso e di trasporto di personale civile e militare e di veicoli pesanti. La portaerei Cavour sarà assegnata a COMFORAL, il Comando Forze d'Altura di base a Taranto.
La costruzione della sola piattaforma è costata circa 900 milioni di euro, cui vanno aggiunti circa 23 milioni di euro per la fornitura di apparati minimi per la navigazione, 35 milioni relativi al supporto integrato ed ulteriori 150 milioni di euro in forniture dei sistemi di comando e controllo, le comunicazioni, i sistemi d'arma a corto/medio raggio. A queste spese poi vanno ad aggiungersi tutti i sistemi d'arma non compresi in quelli precedentemente menzionati. Tali costi sono stati coperti con fondi del Ministero della Difesa e dello sviluppo economico con stanziamenti pari a 50 milioni di euro all'anno fino al 2001, 35 milioni di euro nel 2001, 78 milioni di euro nel 2002, 92 milioni di euro nel 2003, 185 milioni di euro nel 2004, 177 milioni di euro nel 2005, 25 milioni di euro nel 2006, 211 milioni di euro nel 2007, 150 milioni di euro nel 2008.[2]